Tesi sperimentale. Autore Luigi Leone
Background: Quella delle lesioni cutanee è una realtà in crescita e in stretta correlazione all’aumento della popolazione anziana. Una delle sfide più impegnative che i professionisti sanitari si ritrovano costantemente ad affrontare è proprio la prevenzione di una delle ricorrenti e più temute conseguenze dell’invecchiamento e dell’allettamento: le lesioni da pressione, definite il più complesso tipo di lesione cutanea conosciuta. La prevenzione ed il trattamento delle lesioni da pressione rappresentano in ambito domiciliare ed ospedaliero, un rilevante problema di assistenza sanitaria, che oltre ad impattare negativamente sulla qualità di vita dei pazienti (e dei loro familiari), richiede un notevole impegno gestionale in termini di risorse umane, materiali, tecnologiche e contrariamente a quanto si può pensare, risulta essere una problematica ancora attuale e quindi estremamente interessante per l’assistenza infermieristica.
UNIVPM 3. Lettere della Facoltà maggio-giugno 2017 pag 32
Il presente lavoro cerca di coniugare la medicina narrativa, che ha tra le sue finalità il recupero del sentire la propria malattia, del viverla, accettarla e superarne le difficoltà (presenti e future), con un utente difficile, forse il più difficile, con cui instaurare una relazione interpersonale talmente profonda e con implicazioni emotive tali da rendere efficace il nursing narrativo. E’ una sfida difficile che mette il professionista, e l’intera equipe assistenziale, di fronte a se stessi, alle proprie difficoltà, resistenze, ponendo al centro del sistema di cura, e di accudimento, la relazione con l’assistito….
per il resto dell’articolo continuare nel link sottostante: 3. Lettere della Facoltà maggio-giugno 2017
A cura della Dr.ssa Giuseppina Ungaro Coordinatrice dell’ U. O. di Nefrologia e Dialisi del P.O. Francavilla Fontana (Br).
L’evoluzione della dialisi domiciliare ha segnato le principali tappe della storia della terapia sostitutiva dell’uremia cronica. Nel momento drammatico in cui il paziente apprende di doversi recare a giorni alterni in ospedale per sottoporsi a trattamento dialitico, probabilmente per tutta la vita, la prima domanda che pone al medico è se è possibile eseguirla a domicilio, prima ancora di conoscerne la complessità e le difficoltà da superare. Il primo passaggio fondamentale è l’ informazione che deve dare il medico al paziente; chiara e precisa. Il paziente ideale è quello adeguatamente informato. E’ l’opzione di prima scelta per un paziente idoneo, perché lo coinvolge nella conduzione del trattamento con indubbi vantaggi di tipo psicologico, per la sua crescita dell’ autostima, e anche clinico, per la personalizzazione e la maggiore attenzione posta nella conduzione del trattamento. Il paziente può scegliere quando eseguire il trattamento in base alle proprie attività lavorative. Nel nostro caso il paziente poiché lavorava di mattina eseguiva il trattamento nelle ore pomeridiane. Vi sono almeno tre buone ragioni che spingono il medico a proporre questo trattamento a domicilio:
Migliorare la qualità della vita ,un aspetto molto importante , perché porta un reale vantaggio nei pazienti, anche per la difficoltà di analizzare la qualità di vita stessa, quindi la libertà di scegliere quando effettuare il trattamento è di fondamentale importanza, per una tranquillità psicologica quindi è essenziale che ciascun paziente trovi il momento più adatto alle proprie esigenze il più delle volte lavorative. Nell’emodialisi a domicilio non ci sono limitazioni al numero e alla durata delle sedute, che possono arrivare fino a 3-4 alla settimana, con durata di 3-4 ore. Applicazioni più frequenti e più brevi , con un kt/V sotto controllo medico, consentono un miglioramento dello stato generale della riabilitazione lavorativa e della sopravvivenza. L’efficienza del trattamento è un punto estremamente rilevante in emodialisi domiciliare, dove la personalizzazione del trattamento, con l’ aumento della frequenza della dialisi e della sua durata, porta ad un maggior benessere del paziente. Prendere coscienza della propria malattia e della sua cura, aiuta a curarsi meglio, ed il trattamento condotto nella propria abitazione si traduce in maggior riabilitazione e minor morbilità, oltreché protegge il soggetto dalle infezioni ospedaliere. Continue reading
Tesi sperimentale. Autrice: Anna Allessandrino
Background: L’incontinenza urinaria consiste nell’emissione involontaria di urina e si distingue in diverse forme: Incontinenza da sforzo (si verifica in seguito a sforzi, esercizio fisico, starnuti o tosse); Incontinenza da urgenza (accompagnata o immediatamente preceduta da urgenza per stimolo minzionale incontrollabile); Incontinenza mista (caratterizzata dalla presenza di entrambe le condizioni, urgenza e sforzo); Enuresi notturna (si manifesta solo durante il sonno); Incontinenza da rigurgito (con assenza o riduzione dello stimolo minzionale); Incontinenza post-minzionale (persistente dopo il normale atto minzionale); Incontinenza riflessa (assenza di stimolo minzionale, conseguente ad un danno neurologico delle vie spinali o delle aree sovraspinali preposte al controllo del ciclo della minzione). L’ incontinenza urinaria rappresenta una condizione in grado di compromettere la qualità di vita di chi ne è affetto e, nei casi più complessi, può mettere a repentaglio la vita stessa delle persone. Ha risvolti importanti sulla sfera economica e psico-sociale ed è causa di problemi psicologici, occupazionali, relazionali, fisici e sessuali. Visto la diffusione del fenomeno ed anche i costi che incideranno sempre di più sulla spesa sanitaria, è necessario che l’Infermiere sappia gestire i problemi determinati dall’ incontinenza urinaria a tutti i livelli.
Tesi La gestione infermieristica dell’Incontinenza Urinaria dalla prevenzione alla cronicità.
Tesi sperimentale. Autrice: Francesca Prisco
Background: La SLA è una malattia degenerativa che colpisce i motoneuroni inferiori del midollo spinale e del tronco encefalico e i motoneuroni superiori che proiettano ai fasci corticospinali. Questi vanno incontro a degenerazione, muoiono e smettono di inviare messaggi ai muscoli. La morte di queste cellule avviene gradualmente nel corso di mesi o anche anni, con un decorso del tutto imprevedibile e differente da soggetto a soggetto con esiti disastrosi per la qualità di vita oltre che per la sua sopravvivenza. L’ incidenza è di circa 3 casi ogni 100.000 abitanti/anno, e la prevalenza è di circa 10 ogni 100.000 abitanti, nei paesi occidentali. Attualmente sono circa 6.000 i malati in Italia, colpisce gli uomini con una frequenza leggermente superiore rispetto alle donne e diventa clinicamente evidente nella quinta decade di vita o più tardi ( l’incidenza aumenta all’aumentare dell’età ). Le cause della malattia sono sconosciute, anche se negli ultimi anni è stato riconosciuto un ruolo sempre più importante alla genetica, come fattore predisponente, che unitamente ad altri fattori (ad esempio ambientali), può contribuire allo sviluppo della malattia. Il trattamento sarà sintomatico e sul miglioramento della qualità di vita attraverso la costruzione di percorsi assistenziali che garantiscano una presa in carico continua che va dal momento della diagnosi alla fase terminale e includeranno le cure palliative. E’ importante per l’Infermiere saper erogare una assistenza qualificata e specialistica alla persona affetta da SLA ed affiancare la famiglia che deve farsi carico di un fardello molto duro da un punto di vista psicologico, sociale ed economico, che mina la qualità della loro vita alle fondamenta.
Tassonomie, Linguaggi e Teorie: necessità, professionalità o moda?
A cura di Stefano Marconcini e Maurizio Ercolani
Il modello delle prestazioni infermieristiche, il modello funzionale di Gordon, le tassonomie Nanda International, Noc e Nic, il Linguaggio standardizzato ICNP, una palude in cui l’Infermiere stenta ad orizzontarsi e spesso, oltre a domandarsi quali utilizzare, evita di porsi il dilemma. Da un passato recente in cui l’assistenza era confinata ad un analisi dei bisogni secondo il modello di Virginia Henderson (legato alla piramide di Maslow), e solo pochi infermieri conoscevano, ed ancor di meno applicavano, i modelli di Orem, Peplau o altri teorici; oggi in Italia vediamo l’utilizzo, seppure a macchia di leopardo, soprattutto di due modelli di pianificazione: il modello delle prestazioni infermieristiche della Prof.ssa Marisa Cantarelli e il sistema di Marjory Gordon coniugato con le diagnosi Nanda-I, outcomes Noc e gli interventi Nic dell’University of Iowa. Quest’implementazione e differenziazione nello studio, e nel conseguente utilizzo pratico, è stata determinata dall’insegnamento universitario, ed ha seguito la strada indicata dal corpo docente dei vari istituti universitari; spesso indirizzati verso un unico modello, senza spingere gli studenti all’analisi ed all’applicazione di vari modelli, confrontandoli in vari setting assistenziali. Sempre dal mondo universitario, in questi ultimi anni si sta assistendo all’evoluzione del linguaggio standardizzato ICNP®, vero e proprio linguaggio codificato (numerico) utilizzato in diverse parti del mondo e diffuso dall’ICN. Grazie alle varie combinazioni di termini (suddivisi in 7 assi) è possibile creare delle diagnosi, degli interventi e degli outcomes. Analizziamo ora i presupposti teorici e le caratteristiche pratiche di questi modelli, al fine di indurre un ragionamento dei professionisti verso la scelta più appropriata per implementarne nel proprio servizio la formazione e l’utilizzo.
di Gregorio Paccone
In questi mesi ci stiamo occupando dell’applicazione della nuova norma, la ISO 9001:2015, nelle strutture sanitarie certificate, pubbliche e private.
Come ormai noto le novità che introduce la nuova revisione sono molte e significative e richiederanno, soprattutto in sanità, un cambiamento di approccio da parte di tutti i soggetti coinvolti: direzioni aziendali, organismi notificati, lead auditor, ecc. Molti di questi soggetti stanno interrogandosi, in queste settimane, su come cogliere le opportunità nel passaggio dalla vecchia edizione della norma alla nuova.
Alla luce dell’esperienza maturata in questi anni voglio fornire un contributo alla discussione e ho sintetizzato il pensiero di diversi esperti del settore nel documento allegato: Scarica Guida -iso-9001-2015-.
L’aspetto su cui voglio soffermarmi, in particolare, è l’approccio “Risk based thinking” (pensiero basato sul rischio), che permette all’organizzazione di determinare i fattori che potrebbero fare deviare i suoi processi e il suo sistema di gestione per la qualità dai risultati pianificati, di mettere in atto controlli preventivi per minimizzare gli effetti negativi e massimizzare le opportunità, quando esse si presentano. Continue reading
La teoria dell’Adattamento di Suor Callista Roy
A cura di Stefano Marconcini e Maurizio Ercolani
Il modello teorico di Suor Callista Roy origina principalmente dalla teoria dei sistemi e dalla teoria dell’adattamento . Si può affermare che il concetto di adattamento sia il fulcro dell’intero pensiero teorico della Roy. La teoria suscitò fin da subito, una vasta risposta da parte non solo degli operatori sanitari ma anche da parte di specialisti dell’educazione i quali analizzarono, verificarono ed applicarono questo modello del nursing presso i loro rispettivi campi del sapere.
La teoria elaborata si compone di cinque elementi definiti dall’autrice essenziali :
1. LA PERSONA FRUITRICE DELL ASSISTENZA;
2. LO SCOPO DEL NURSING;
3. IL CONCETTO DI SALUTE;
4. IL CONCETTO DI AMBIENTE;
5. L’ITER DELLE ATTIVITA’ INFERMIERISTICHE.
Suor Callista sostiene che il professionista Infermiere con un’attenta analisi dei cinque elementi essenziali riesce ad acquisire una adeguata visione della realtà e quindi sarà in grado di sviluppare un processo infermieristico reale.
LA PERSONA
Secondo la Roy la persona è colui che riceve assistenza infermieristica, per cui accanto al concetto di persona colloca anche quello di famiglia, gruppo, comunità o società .
Secondo la teorica, ognuna di queste entità è un sistema olistico capace di adattarsi. Continue reading
a Cura di Stefano Marconcini e Maurizio Ercolani
LA TEORIA DEI CAMPI DI ENERGIA DI MARTA ROGERS
Teoria del Nursing molto complessa, molto distante dal pensiero infermieristico Italiano. Per elaborarla la studiosa americana impiega nozioni e concetti acquisiti da altre discipline scientifiche e umanistiche. Nelle affermazioni teoriche della Rogers, in particolare, si avvertono echi della teoria della relatività di Einstein, ma soprattutto della teoria dei sistemi elaborata negli anni cinquanta da von Bertalanffy. La teorica ha una concezione globale dell’uomo. Scrive: “L’uomo è un tutto unificato che possiede la propria integrità e che manifesta caratteristiche che sono più della somma delle sue parti e differenti dalla somma delle sue parti”.
I cinque presupposti fondamentali del modello concettuale:
Dal modello l’autrice sviluppa 4 concetti fondamentali:
Il campo di energia costituisce l’unità fondamentale degli esseri viventi e di tutto ciò che è inanimato, poiché il concetto di campo è un concetto unificante assolutistico. I campi sono sistemi aperti ed interagiscono e si integrano gli uni con gli altri. Continue reading
a cura di Stefano Marconcini, Maurizio Ercolani
LA TEORIA GENERALE DI ASSISTENZA INFERMIERISTICA DI DOROTHEA E. OREM
Modello concettuale abbastanza strutturato nella comunità scientifica mondiale attraverso una vera e propria corrente di pensiero disciplinare. Il modello concettuale si sviluppa attraverso la definizione di tre teorie distinte ma colegate:
La teoria dei sistemi di assistenza Infermieristica comprende la teoria del deficit nella cura di sé, che a sua volta comprende la teoria della cura di sé. Il collegamento tra queste tre teorie costituisce, la “teoria generale di assistenza Infermieristica” o “teoria Infermieristica del deficit nella cura di sé”.La Orem parte da alcuni presupposti fondamentali formulare le 3 teorie base: