A Cura di Antonella Di Noia
“Mi hai proprio letto nel pensiero!” Chissà quante volte sarà capitato di pronunciare o sentire questa frase.
Ci sono occasioni in cui non occorre proferire neppure una parola per esprimere i propri bisogni o le proprie aspettative ed essere compresi alla perfezione. Altre volte, invece, nonostante lunghi discorsi non si riesce a trovare la minima intesa, un punto di contatto, una qualche sintonia. Segno che esistono delle barriere, delle chiusure, degli ostacoli che creano interferenze e impediscono la costruzione di una relazione sociale. Probabilmente diamo troppo per scontato che le parole da sole siano sufficienti a comunicare bene quello che sentiamo, dimenticando che il linguaggio verbale rappresenta solo una piccola parte dell’intero processo comunicativo. Il linguaggio verbale è sicuramente una delle vie che pratichiamo con più facilità, ma dobbiamo comunque tener presente che questa modalità per essere efficace deve necessariamente essere accompagnata, o per meglio dire, rafforzata da altre componenti che intervengono a creare un insieme coerente e armonizzato. L’uomo, in quanto “animale sociale”, ha una smisurata necessità di comunicare, ovvero di mettere in comune, come appunto suggerisce l’antica accezione del verbo comunicare (dal latino communicare, cum-insieme e munis-funzione). Secondo questa definizione comunicare assume un significato molto più ampio rispetto a quello che normalmente siamo abituati ad utilizzare. Comunicare non vuol dire semplicemente parlare, ma anche mettersi in ascolto, sintonizzarsi con l’altro, viaggiare sulla sua stessa lunghezza d’onda. La comunicazione è attenzione, osservazione, percezione. È un atto che presuppone reciprocità e contemporaneità. È un processo bidirezionale, articolato e ricco di sfumature che coinvolge tutti gli organi di senso. Si comunica con lo sguardo, il sorriso, attraverso la mimica facciale, i movimenti del corpo, a gesti, toccandosi e perfino annusandosi. E dunque bisogna predisporsi a cogliere il significato di ciò che viene espresso attraverso una lettura globale e puntuale di tutti gli elementi, con una mente aperta, libera da preconcetti e supposizioni personali. Il linguaggio verbale incide nel processo comunicativo in una percentuale di appena il sette per cento, rispetto agli altri canali la fanno da padrone. Ovvero, il paraverbale che si riferisce a tutto ciò che ruota intorno alle parole e al modo in cui vengono pronunciate, con quale tono di voce, con che volume, con quale ritmo; e ancor di più il non verbale. La comunicazione non verbale è una componente fondamentale anche in considerazione del fatto che il corpo “parla” un linguaggio diretto, innato, scevro da sovrastrutture mentali, solo in piccola parte conscio ma in larga misura non consapevole, perciò difficilmente alterabile. Il corpo racconta la verità. Eppure, un po’ per convenzione o per abitudine, ma forse solo per pigrizia, scegliamo di focalizzare la nostra attenzione su ciò che viene detto a parole piuttosto che allenarci a valutare anche tutte le altre componenti. Solo quando sia difficile esprimersi a parole, il linguaggio non verbale riacquista un ruolo di primo piano. Può accadere ad esempio che il rumore ambientale crei delle interferenze e non permetta il dialogo, oppure ci siano difficoltà linguistiche perché i nostri interlocutori non parlano la nostra stessa lingua e così in modo del tutto spontaneo iniziamo a gesticolare per farci comprendere e per cercare di superare il problema. Le difficoltà comunicative quindi ci spingono a sperimentare nuovi approcci ma anche a potenziare modalità già acquisite e semplicemente tralasciate perché ritenute non indispensabili. La comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) è appunto una strategia da utilizzare quando ci siano deficit di comunicazione a causa di disturbi del linguaggio o della percezione dei suoni.
I disturbi del linguaggio e la comunicazione aumentativa e alternativa.
I disturbi del linguaggio si riferiscono principalmente ad abilità ricettive ed espressive, ma possono anche riguardare difficoltà nella fonazione e nella fluenza. Con la CAA non si fa altro che accrescere la comunicazione naturale dell’individuo con deficit comunicativi, utilizzando tutte le sue competenze e i suoi punti di forza, attraverso un codice condiviso, di tipo visivo, quindi fatto di immagini, fotografie, parole scritte e oggetti piuttosto che di tipo uditivo, seppure i suoni siano più effimeri rispetto alle immagini, ma anche attraverso i segni manuali. Diversamente da altri tipi di approcci centrati maggiormente sull’insegnamento di nuove abilità, la CAA cerca di incrementare la comunicazione funzionale spontanea che è alla base della relazione sociale. È un tipo di comunicazione che può essere usato nell’ambiente di vita quotidiano per permettere alle persone con deficit comunicativi di esprimere i propri bisogni, evitando così l’isolamento e la chiusura in sé stesse. Un esempio di CAA di tipo gestuale potrebbe essere rappresentato dalla lingua dei segni (LIS). Anche se in realtà la LIS non è un codice, ma una vera e propria lingua. È un linguaggio di azione dove i segni seguono una struttura ben precisa e si basano su alcuni parametri fondamentali come il luogo, la configurazione, l’orientamento e il movimento, ai quali si aggiunge poi una quinta componente che è l’espressione del volto. La LIS (Lingua Italiana dei Segni) è una lingua nazionale ideata in base a caratteristiche culturali che sono proprie del nostro paese. Anche in questo caso, quindi, se volessimo comunicare con persone di altre nazionalità in lingua dei segni, dovremmo imparare una nuova lingua!
A cura di Antonella Di Noia
Ecco la primavera. Si sente, si avverte, si percepisce. Anche se non è tangibile i suoi profumi si diffondono nell’aria e ci regalano tante emozioni, un senso di benessere, energia vitale. È il risveglio della natura. Un nuovo ciclo, un altro inizio. Che meraviglia! Ed è fantastico inebriare lo spirito con tutti quegli aromi odorosi che ci giungono da ogni direzione. Essenze di narcisi, violette, primule. Effluvi di rose, di azalee e poi quell’inconfondibile profumo del mare. Che piacevoli sensazioni e quanti ricordi! Odori che si imprimono nella mente ancor più di ciò che stiamo vivendo in certi momenti e poi d’incanto li fanno ritornare. E quegli istanti riaffiorano così nitidi, così presenti, quasi palpabili. Profumi e memoria. Un binomio imprescindibile. E non potrebbe essere altrimenti. Siamo costantemente circondati da migliaia di molecole odorose. Una miriade di segnali e di messaggi che viaggiano nell’aria e che intercettiamo. Raggiungono l’olfatto, il nostro senso ancestrale, e da lì il cervello che li interpreta, li codifica, li cataloga. Alcuni odori ci regalano sensazioni di gradevolezza perché li abbiamo associati a trascorsi piacevoli. Altri invece ci provocano reazioni di ribrezzo perché percepiti durante situazioni in cui abbiamo provato un senso di fastidio o di disgusto. Perciò è tutto molto soggettivo e la risposta allo stimolo odorifero non è affatto univoca, scontata, ma dipende dal tipo di ricordo evocato e dalla particolare sensibilità di ognuno di noi. E poi ci sono gli odori che noi stessi emettiamo. Odori che ci rappresentano e ci accompagnano, che cambiano così come cambiamo noi e si trasformano ad ogni nuovo mutamento fisico e psichico. L’odore della pelle, del sangue, della paura, delle malattie altro non sono che lo specchio di ciò che siamo e di come “funzioniamo”. Sono odori che derivano, in larga misura, da quello che mangiamo, dal nostro metabolismo e dalla capacità delle nostre cellule di produrre enzimi in grado di favorire e accelerare la trasformazione delle sostanze alimentari in nutrienti, ma sono in gran parte determinati anche da quello che sentiamo, dal nostro stato d’animo, dalle emozioni che proviamo. È un’altro modo di raccontare quello che avvertiamo intimamente. Ed è una forma di comunicazione universale. Anche le piante, come dimostrato in recenti studi, “parlano” tra di loro emettendo sostanze odorose. Soprattutto in situazioni di pericolo, quando cioè qualcuna viene aggredita da agenti patogeni, la diffusione da parte della pianta di un particolare odore avvisa le altre della minaccia incombente e le allerta affinché si proteggano. E così, pur avendo un odore di partenza diverso le une dalle altre, perché appartenenti a specie differenti, tutte si uniformano per amplificare il segnale. Cambiano cioè la loro chimica e il loro metabolismo per contrastare gli aggressori, producendo odori repellenti per gli insetti o i parassiti che le attaccano ma allo stesso tempo attraenti per altri tipi di insetti che si nutrono di quei parassiti nocivi. Gli odori quindi sono elementi essenziali per la conservazione e la proliferazione delle specie animali e vegetali. Dall’odore, ancor più che dall’aspetto, si distinguono chiaramente le sostanze utili al benessere dell’organismo e quelle potenzialmente dannose. Il profumo del pane fresco appena sfornato, quello della frutta di stagione appena raccolta o quello di un arrosto che invade tutta la casa e fa venire l’acquolina in bocca, sono certamente diversi dall’odore sgradevole prodotto da cibi avariati, come uova marce, carne putrefatta o latte inacidito, assolutamente da evitare. Eppure, tutte le sostanze odorose hanno qualcosa in comune. Presentano particolari caratteristiche che le contraddistinguono, senza le quali non sarebbero percettibili. Innanzitutto la volatilità, ma anche la liposolubilità e l’idrosolubilità. Vuol dire che queste sostanze, a prescindere dalla loro natura, sono tutte in grado di passare da uno stato liquido o solido ad uno stato gassoso. Se così non fosse, non avrebbero la possibilità di disperdersi nell’aria, di raggiungere la mucosa olfattiva e di produrre stimoli odorosi. Inoltre, la capacità di solubilizzarsi nell’acqua e nei grassi, e quindi di dissolversi nel muco, permette loro di attraversare la barriera protettiva rappresentata dal muco stesso e di legarsi ai chemorecettori, specifici recettori preposti alla ricezione degli stimoli odorosi. Grazie a questi prolungamenti cellulari presenti nella mucosa olfattiva, deputati a captare i segnali chimici provenienti dall’ambiente esterno e a convertirli in segnali elettrici attivi internamente, noi riusciamo ad apprezzare e a distinguere chiaramente una grande varietà di fragranze. Volendo accennare ad una breve categorizzazione delle principali sostanze potenzialmente osmogene, capaci cioè di generare odore, senza alcuna pretesa di tracciare un quadro completo dell’argomento data la sua vastità, si può fare riferimento ad alcuni elementi chimici presenti nella loro struttura molecolare. In base a questi elementi che sono determinanti per l’elaborazione e lo sviluppo degli odori, le sostanze odorifere possono essere raggruppate in alcune classi di composti. Ad esempio, ai composti solforati che contengono zolfo appartengono sostanze come l’acido solfidrico (H2S), un gas dall’inconfondibile odore di uova marce, ma anche composti organici, in particolare proteine animali e vegetali. Infatti, lo zolfo rientra nella composizione di amminoacidi come la cisteina e la metionina e in quella di alcune vitamine come la biotina e la tiamina. I mercaptani o tioli (dal greco theion “zolfo”), che fanno sempre parte di questa categoria sono invece dei liquidi dall’odore nauseabondo simile a quello di cavolo in decomposizione. Dai composti azotati, invece, derivano quegli odori aspri e irritanti come quello dell’ammoniaca e dei suoi derivati, le ammine, che si riconoscono dal tipico aroma pungente di pesce. Mentre al gruppo dei composti ossigenati afferiscono l’etere etilico, un solvente organico dall’intenso odore di alcol, e gli esteri della frutta, molecole che si formano dalla condensazione di un alcol con un acido carbossilico e che sprigionano un gradevole odore dolciastro. Un forte odore dolce viene prodotto anche dalle aldeidi, gli alcoli deidrogenati, mentre i chetoni ne formano uno molto sgradevole. In particolare l’acetone, che rappresenta nell’organismo umano un prodotto del metabolismo dei lipidi e che viene eliminato attraverso la respirazione, conferisce all’alito un caratteristico odore molto acre. Anche altri tipi di composti, come gli acidi grassi volatili, emanano un odore fastidioso, pungente, di rancido. Invece i terpeni o isopreni, un vasto ed eterogeneo gruppo di composti organici molto diffusi in natura come costituenti della resina vegetale e di diversi oli essenziali estratti da varie piante, sprigionano odori piacevoli di fiori, di bosco, di piante aromatiche e per questa ragione sono molto utilizzati nell’industria cosmetica e farmaceutica. La natura, dunque, è la nostra vera forza, la nostra ricchezza, un’immensa fonte di ispirazione, un’ineguagliabile opera d’arte, un quadro vivo in cui immergerci e godere dei suoi meravigliosi profumi e della sua grande bellezza.
A cura di Antonella Di Noia
L’acqua è un costituente fondamentale degli organismi viventi. Le cellule, i fluidi, gli organi e tutti i tessuti contengono acqua. Perfino le ossa, così compatte, risultano costituite di acqua, seppure in minore percentuale rispetto alla componente minerale. Secondo alcune teorie che trattano l’origine della vita sulla terra, l’acqua sarebbe addirittura la biomolecola primordiale intorno alla quale si sarebbero poi modellati gli altri costituenti e i sistemi biologici. Benché queste ipotesi non abbiano ancora trovato un effettivo riscontro nella realtà, tuttavia dimostrano quanto sia grande l’interesse scientifico per l’acqua. Un composto straordinario, sorprendente e dalle incomparabili qualità. Andando ad analizzare la sua molecola in maniera più approfondita, infatti, si possono notare alcune caratteristiche che rendono l’acqua particolarmente favorevole alla vita. Fra tutte, una delle peculiarità che merita sicuramente di essere considerata in primo luogo è l’alto calore specifico. Possedere un calore specifico elevato significa riuscire a variare di poco la propria temperatura pur assorbendo grandi quantità di calore. Il fatto che l’acqua sia in grado di modificare la sua temperatura in minima misura, anche in presenza di grandi scambi termici, rappresenta una condizione di enorme vantaggio per le reazioni biochimiche che trovano il loro optimum proprio in intervalli di temperatura assai ristretti. Un’altra particolarità molto interessante dell’acqua riguarda la sua polarità, dovuta alla presenza di poli o più precisamente di dipoli elettrici. Sia dalla parte degli atomi di idrogeno che dal lato dell’ossigeno sono presenti delle parziali cariche elettriche uguali, ma di segno opposto. In corrispondenza degli atomi di idrogeno le cariche sono positive, mentre dalla parte dell’ossigeno la carica risulta negativa. Questo fenomeno è responsabile dell’attrazione elettrostatica che si sviluppa tra l’acqua e alcune sostanze con cui viene a contatto e crea quella forza che rompe i legami preesistenti e permette a tali sostanze di sciogliersi in particelle più piccole. L’acqua, dunque, rappresenta un solvente polare in cui soprattutto sostanze polari come acidi e sali si dissociano in ioni. I composti che ne risultano sono detti elettroliti e sono dotati di cariche elettriche che possono essere positive o negative, a seconda che derivino da elementi chimici più o meno elettronegativi, ovvero in base alla maggiore o minore capacità di attrarre o cedere elettroni. Gli elettroliti sono sostanze che conducono elettricità e rendono la stessa soluzione acquosa in cui sono disciolte elettricamente conduttrice. Ioni calcio, sodio, magnesio e potassio intervengono così a regolare importanti funzioni fisiologiche, come ad esempio l’equilibrio dei fluidi, la pressione sanguigna, la trasmissione dei segnali nervosi o la contrazione muscolare. Naturalmente l’acqua, oltre al ruolo di solvente, ricopre anche quello di veicolo per i componenti solubili e in più, nelle numerose reazioni organiche di idrolisi e di idratazione, ha funzione di reagente. Per effetto dell’acqua, nelle reazioni di idrolisi, le grandi molecole biologiche, come acidi nucleici, proteine, polisaccaridi e lipidi, vengono scisse nei loro costituenti elementari. Mentre, nelle reazioni di idratazione, l’addizione di acqua ad alcuni composti fa sì che questi risultino trasformati e potenziati. Nell’organismo l’acqua viene assorbita soprattutto a livello intestinale e da qui entra nel circolo sanguigno per essere distribuita in tutti i distretti corporei. Nelle cellule penetra per semplice diffusione. Infatti, essendo una molecola molto piccola riesce a passare tra le molecole contigue di fosfolipidi che costituiscono la membrana plasmatica. A volte entra anche attraverso alcuni canali proteici o pori, chiamati per l’appunto acquaporine, che permettono un passaggio più veloce dell’acqua, determinando così un aumento notevole della sua permeabilità. L’acqua è un composto indispensabile che non deve assolutamente mancare. E sebbene una certa quantità venga prodotta autonomamente dall’organismo durante i processi ossidativi, questa acqua cosiddetta metabolica non ha generalmente funzione di rifornimento, ma anche qualora l’avesse non sarebbe sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero. D’altronde l’acqua viene eliminata continuamente attraverso l’evaporazione cutanea, l’espirazione, la sudorazione e l’escrezione, per cui deve essere costantemente reintegrata, così come devono essere ripristinate le perdite dei sali minerali. Il bilancio idrico e quello elettrolitico devono sempre essere mantenuti in equilibrio. Occorre che le perdite siano compensate in modo adeguato attraverso l’assunzione di liquidi e con una corretta alimentazione, evitando così di produrre quegli squilibri che altrimenti potrebbero causare effetti negativi e persino danni irreparabili, qualora non vi si ponesse rimedio in tempi brevi. Un insufficiente apporto di liquidi, a fronte di abbondanti perdite, comporta uno sbilanciamento idro-ettrolitico che si manifesta con uno stato di “disidratazione”; mentre un’eccessiva quantità di acqua, rispetto al normale volume corporeo, può causare scompenso da “iperidratazione” con una conseguente diminuzione dei livelli di sodio nel sangue. Nelle persone anziane frequentemente si ravvisano quegli inconfondibili segni che denotano una condizione in cui l’acqua sia carente rispetto alle reali necessità. Una situazione che spesso deriva da patologie o dall’assunzione di alcuni farmaci che interferiscono con i normali processi fisiologici, ma che frequentemente può essere correlata all’età e all’invecchiamento biologico. Normalmente negli anziani le funzioni fisiologiche sono rallentate e quei meccanismi difensivi, che precedentemente venivano attivati con rapidità, non sono più tempestivi. Così può accadere che la sensazione di sete, meno intensa e poco accentuata, arrivi tardi, quando ormai si siano già verificati dei danni. Per esempio, la cute può risultare secca e poco elastica, le labbra screpolate, la bocca asciutta, le urine scarse e concentrate. Inoltre, se lo stato di disidratazione dovesse persistere, anche organi importanti come fegato e cervello sarebbero soggetti a gravi conseguenze.
Ecco perché la sana abitudine di bere la giusta quantità di acqua che mediamente si attesta intorno ad un paio di litri al giorno, concorre al benessere di tutto l’organismo.
L’acqua è fonte di vita e offre innumerevoli benefici. Protegge gli organi, elimina le tossine, lubrifica le articolazioni, regola la temperatura corporea, migliora la funzionalità intestinale, aiuta a dimagrire, contrasta l’invecchiamento cutaneo e molto altro ancora.
Che aspettiamo allora! Corriamo subito a bere un bel bicchiere d’acqua!
Tesi di Interaction Design – Autore Dr Giovanni Stani
Abstract
In scienze infermieristiche per misurare la durata di un fenomeno, di un processo, di un’azione, o di un intervento infermieristico si utilizza il tempo. In pratica si utilizza il “secondo” come la 60- esima parte di un minuto. Questo metodo non consente di effettuare misurazioni di precisione conformi con gli standard attuali del Sistema Internazionale delle Unità di Misura che definisce il “secondo come l’intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi a livello atomico (Cesio). Con l’utilizzo e la diffusione delle tecnologie digitali e l’integrazione delle comunicazioni digitali in tutti i processi socio-politico-commerciali è necessario comprendere che nello spazio-tempo prendono forma simultaneamente processi analogici/continui come le azioni umane ed i processi digitali/discreti come le interazioni uomo-macchina e macchina-macchina. Le azioni sono processi (causa-effetto) osservabili; li possiamo definire come eventi sul piano orizzontale che si realizzano in un tempo uguale o maggiore di 1 secondo, e possono ripetersi con una frequenza variabile in periodi di grandezze diverse (secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni). L’interazione è un processo bidirezionale, all’interno dell’azione o tra un’azione e l’altra, in cui due o più oggetti, agenti, enti, prodotti, servizi, sistemi, interagiscono uno sull’altro a frequenze altissime, inferiori a un secondo, misurabili e progettabili solo con tecnologie digitali specifiche. La tesi “Digita Nursing Design” dimostra che la programmazione delle interazioni nei processi di assistenza infermieristica è possibile solo con strumenti-sistemi e servizi informatizzati e connessi in rete che al momento non esistono ancora, ma che hanno urgenza di essere realizzati. La tesi è divisa in 4 capitoli: Relazioni; Problema; Soluzione; Sviluppi futuri. Nel primo capitolo, vengono messe in relazione le scienze più antiche come medicina, fisica, geometria, con le più recenti scienze infermieristiche e l’interaction design, integrando diverse teorie, codici e linguaggi. Mediante disegni a supporto del testo, viene offerta una visione sistemica per spostare la prospettiva dagli oggetti alle relazioni, dalla misurazione alla mappatura, dalle strutture ai processi, dalla scienza oggettiva alla scienza epistemica. Nel secondo capitolo, il problema viene scomposto in problemi generali relativi al Sistema Sanitario Nazionale, per far emergere la non visibilità delle diagnosi infermieristiche con il metodo DRG e lo stato dell’arte del Fascicolo Sanitario Elettronico. Nel contesto infermieristico i problemi presentati sono relativi alla carenza cronica di infermieri, all’assenza di tecnologie digitali di supporto, all’assenza di formati standard dei dati prodotti dagli infermieri ed ai limiti della documentazione cartacea. Infine, per rappresentare lo stato dell’arte relativo alla trasformazione digitale dei processi di assistenza infermieristica viene esposta la condizione di lavoro critica in cui si può trovare un infermiere che viene trasferito improvvisamente, in un contesto che non conosce, con scarse informazioni relative ai pazienti. Nel terzo capitolo viene presentata la soluzione, ovvero di come l’interaction design può contribuire all’ottimizzazione dei processi sanitari e alla trasformazione digitale dei processi di assistenza infermieristica personalizzata e continuativa. Mediante una serie di interfacce grafiche interattive viene presentata l’integrazione e l’interazione digitale nelle azioni degli infermieri per favorire la meta-datazione delle diagnosi infermieristiche ICNP, l’utilizzo del MEWS-NEWS e il tracciamento della qualità degli interventi infermieristici. Nel quarto capitolo “Sviluppi futuri” viene esposta una panoramica dei settori che potenzialmente possono avviare e beneficiare di alcuni progetti di digitalizzazione.
Per versione completa tesi inviare e-mail a giannistani@gmail.com
Tesi di Master in Formazione e tutorato nelle professioni sanitarie di Concetta Rossella Tomaiuolo
In Italia è Anna Celli che, nel primo 900, pubblica analisi dettagliate sulla condizione infermieristica, dichiarando che le Mansioni sono svolte da personale impreparato e mal pagato. La Celli, infermiera e femminista della borghesia del 900, ritenne che si dovessero attuare Corsi Preparatori per le infermiere dalla durata di almeno 6 mesi e che i requisiti fossero: licenza elementare e il certificato di buona condotta. Poche sono le scuole esistenti all’inizio del XX secolo in Italia, fondate dalle allieve della Nightingale (la scuola Croce Azzurra di Napoli diretta da Miss Grace Baxter e la scuola convitto Principessa Iolanda di Milano gestita poi dalla Croce Rossa Italiana). Con il Regio Decreto n. 1832 del 1925, si istituirono le scuole convitto professionali per infermiere Con il Regio Decreto n. 1832 del 19252 si giunge all’istituzione delle scuole convitto
professionali per infermiere. Esso costituisce la prima norma diretta a fissare i criteri unici istitutivi e gestionali di queste scuole, validi su tutto il territorio nazionale e rappresenta il tentativo di porre rimedio alla estrema frammentazione e disomogeneità della formazione
infermieristica del tempo. Tra il 1920 e il 1960/70 il bisogno sanitario si modifica (occorrono più infermiere), per cui si ha la Legge 124/1974 che consentì ai maschi di accedere alla formazione infermieristica. E le scuole convitto furono convertite in Scuole per Infermieri Professionali senza l’obbligo di internato. Successivamente sono istituite le prime 2 scuole per Dirigenti e Docenti dell’assistenza infermieristica a Roma all’Università la Sapienza e alla Cattolica. Con questo elaborato si è voluto, prima di tutto, indagare il fenomeno della formazione infermieristica, cercando poi di approfondire l’argomento dei bisogni formativi, dell’evoluzione della formazione infermieristica italiana e della figura del tutor. Nella seconda parte si mostra chi sia il tutor ed il ruolo che ha nella progettazione formativa. Nell’ultima parte vengono presentati le diverse Figure-Docente, come il Docente, il Coordinatore dell’Insegnamento Tecnico-Pratico e di Tirocinio, il Tutor e la Guida di tirocinio; si tratta, infine, dell’apprendimento clinico e del sistema di valutazione.
Tesi sperimentale di: Pallante Christian Luca
Le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte quasi in tutto il mondo. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Queste patologie sono determinate da fattori di rischio modificabili,intermedi e non modificabili. Si stanno sperimentando nuovi modelli organizzativi di approccio alla malattia per prevenire le complicanze e ridurle, migliorare l’integrazione multi-professionale per creare percorsi dedicati alle persone con cronicità e ridurre le ingenti spese derivanti dalle cure di queste patologie. Il modello di cui si sta discutendo è quello dell’Ambulatorio delle Cronicità ossia un nuovo modello organizzativo di integrazione tra i Medici di Medicina Generale, gli Specialisti ambulatoriali e gli Infermieri degli Ambulatori Infermieristici distrettuali, che mira a prendere in carico in maniera congiunta la persona con patologie croniche, applicando i PDTA e, attraverso visite e monitoraggi condivisi, punta all’empowerment del paziente e alla prevenzione e riduzione delle complicanze. Lo studio sperimentale di questa tesi riguarda il monitoraggio integrato medico-infermieristico con adozione del linguaggio infermieristico standardizzato ICNP®, ed è stato condotto nel distretto socio-sanitario di San Marco in Lamis.
Autori: Maurizio Ercolani; Stefano Marconcini; Julita Sansoni
Durante lo studio dei linguaggi standardizzati e tassonomie dell’infermieristica abbiamo maturato l’idea di quanto sia difficile o addirittura impossibile il loro utilizzo applicato alle innumerevoli teorie del nursing. Abbiamo pertanto sentito l’esigenza di possedere un framework di base che potesse guidarci: era dunque necessario un sistema di accertamento universale. Il prescindere da un modello teorico di riferimento, o dall’utilizzo di più modelli teorici, ci pose di nuovo di fronte al problema oramai inderogabile, di come rendere sicuro e generalizzabile, il percorso per una raccolta dati significativa, utile, e completa. Come organizzare l’accertamento infermieristico senza uno schema concettuale di riferimento? Come rendere organica l’osservazione, il colloquio e gli emergenti della relazione con l’assistito? Abbiamo perciò iniziato ad ipotizzare un accertamento suddiviso in tre macro aree che potessero rappresentare una raccolta dati, dal punto di vista olistico, necessari per elaborare un piano di cura e di assistenza infermieristica: l’osservato direttamente o riferito; le emozioni ed i pensieri, narrati, espressi o transferali e le interazioni con gli altri e con l’ambiente. Grazie alla sperimentazione presso alcune unità operative attraverso l’utilizzo della documentazione informatizzata del paziente (TaleteWeb), abbiamo potuto strutturare e proporre un accertamento infermieristico che riteniamo universale, sviluppato su tre aree che abbiamo identificato come: Soma, Psiche e Relazioni. Il nostro riferimento concettuale, base per l’accertamento infermieristico proposto, è stato il concetto di Salute definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, inteso come stato di benessere fisico, psichico e sociale.
Per focalizzare i bisogni di assistenza infermieristica vengono analizzate le aree proposte in quanto da noi considerato modello olistico: soma-psiche-relazioni:
1. Soma: inteso come corpo, l’aspetto prettamente fisico;
2. Psiche: inteso come stato mentale, l’aspetto prettamente psicologico;
3. Relazioni: inteso come stato sociale, l’aspetto legato alle relazioni e al ruolo sociale.
L’anamnesi infermieristica è gestita, organizzata e raggruppata esclusivamente su queste tre aree a differenza di altre tipologie di accertamento che sono sviluppati in modalità più complessa, come ad esempio il modello funzionale della Gordon o altri accertamenti legati a dei modelli teorici come ad esempio quello della Henderson o quello locale, proposto dal Gruppo di Cantarelli. L’accertamento attraverso il nostro modello olistico suddiviso in tre aree, può essere considerato un accertamento universale è può essere applicato a qualsiasi modello teorico di riferimento, perché nasce dal concetto di salute, concetto per l’appunto globale e riconosciuto e generalizzabile nella sua essenza in tutto il mondo. Anche prendendo in considerazione le nuove definizioni di salute, che nei suoi astratti la definisce come una condizione di equilibrio (dinamico, dunque sempre nuovo, continuamente da costruire) tra il soggetto e l’ambiente (umano, fisico, biologico, sociale) che lo circonda(1), con tale modello andiamo ad esplorare tutti i suoi componenti:
1. Nell’area soma si esplorerà il tangibile, la fisicità della persona assistita, il suo essere soggetto vivente e i suoi processi biologici;
2. Nell’ area psiche indagheremo ciò che non è tangibile, le sue emozioni, il suo pensare, il suo sentirsi essere umano e i suoi desideri;
3. Nell’area delle Relazioni cercheremo di indagare, conoscere e studiare il suo rapporto con il contesto, con l’ambiente intorno a lui, con le persone con cui interagisce ed i ruoli che egli gioca nei vari ambiti sociali.
Attraverso la valutazione della nostra sperimentazione, possiamo far emergere e concludere che l’utilizzo del nostro modello olistico trifasico, applicato come framework nell’accertamento permette di unificare l’anamnesi di tutto il corpus legato all’assistenza infermieristica, cercando di raggiungere un grande obiettivo per la professione, quello di definire un unico linguaggio standardizzato, anche a prescindere dai diversi modelli teorici di riferimento studiati durante la formazione universitaria anche post-base e dal background dell’Infermiere. Tale obiettivo è raggiungibile se la guida per l’applicazione dello sviluppo del processo di Nursing inteso come metodo scientifico per l’assistenza, inizia, fin dall’accertamento iniziale, dal riconoscimento del concetto universale di Salute, applicato al modello olistico trifasico.
[1] F. Leonardi, Il grande paradosso della salute. La salute non è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Nuove prospettive, Felici Edizioni di Pisa, 2015
Conoscere le situazioni di fragilità dell’età evolutiva, accogliere e accompagnare in chiave inclusiva i bambini e le loro famiglie: un percorso da affrontare insieme per agire a tutto campo, cioè per essere capaci di dare concretezza al diritto di cittadinanza di tutti, indipendentemente dalla loro condizione e dalle singole problematiche.Corso di Formazione rivolto a operatori sanitari, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, educatori, catechisti e cittadini.
L’iniziativa, proposta da APSI, Scienze infermieristiche e dall’Istituto Comprensivo “C.Urbani” Moie in collaborazione con Ufficio Catechistico e Pastorale della Salute Regionali, è stata condivisa da enti e associazioni regionali: Asur Marche, Ordine degli Psicologi, Associazione Maestri Cattolici e Forum delle Associazioni Familiari. Inoltre è stata accolta dalla Diocesi di Jesi con Ufficio Catechistico per la disabilità , Pastorale della Famiglia, Avulss, Unitalsi e Caritas, in una sinergia di intenti «che ci lascia sperare in un percorso di condivisione su problematiche e temi così importanti. – ha dichiarato Marcella Coppa segreteria organizzativa – Il confronto fra tante realtà istituzionali ed associative, fra i diversi mondi che vivono i temi educativi più complessi rappresenta un’occasione importante per i diversi operatori, per avere uno sguardo d’insieme, arricchire il proprio bagaglio professionale e agire anche sui sistemi relazionali e sul contesto.»
Un’intera giornata per confrontarsi sul tema della disabilità e dell’inclusione, dunque, nei suoi tanti aspetti: psicologico, medico-assistenziale, pedagogico, normativo, con la mattinata dedicata agli approfondimenti tematici proposti dagli esperti relatori e il pomeriggio ai laboratori guidati. La presentazione della giornata è stata curata dal Prof. Franco de Felice dell’Università di Urbino.
Il Dott.Maurizio Ercolani ha moderato i seguenti interventi:
Nel pomeriggio si sono svolti i laboratori dedicati all’inclusione:
Notevole il successo dell’evento formativo con oltre 250 presenze e relativa partecipazione interattiva degli stessi, questo evidenzia l’importanza dei contenuti che sono stati trattati e che andrebbero sensibilizzati a tutti i livelli da quelli professionali, educativi/pedagogici, a quelli sanitari/sociali che a livello dei Media al fine di coinvolgere non solo gli operatori ma anche le famiglie ad una corretta gestione della problematica sempre più presente nella nostra società.
A cura Maurizio Ercolani e Stefano Marconcini
All’alba della sottoscrizione definitiva del nuovo CCNL cerchiamo di analizzare quello che ancora bisogna risolvere e quello che c’è da costruire in vista del prossimo contratto, non solo da un punto di vista “contrattuale o sindacale”, ma anche da un punto di vista di crescita professionale, verso una vera evoluzione dell’Infermieristica come “Scienza”.
Il passaggio da collegio IPASVI a OPI (Ordine delle Professioni Infermieristiche determina sicuramente un momento importante nella storia dell’Infermieristica. Ma non analizzare il presente, considerando questo momento come punto di arrivo e non di ripartenza dello sviluppo professionale iniziato nel 1994 con la marcia di 50mila è sicuramente ciò che i nostri colleghi non vogliono, non devono e non possono desiderare. Tante sono ancora le criticità che investono la professione e ci chiedono una riflessione, oggi, per costruire il nostro futuro. Uno degli slogan di quel 1° luglio 1994 fu “Signor dottore ho commesso un gran reato, ho pensato, ho pensato”. Oggi con l’approvazione della Legge 3/2018, meglio conosciuta come “Legge Lorenzin”, ci poniamo a pieno diritto nell’olimpo delle professioni intellettuali. 24 lunghi anni per ottenere finalmente il diritto a pensare. Eppure, questo momento, importante, ma non esaustivo, non è concepito da tutti I colleghi nella stessa maniera. E proprio questo rischia di identificarlo come punto di arrivo. N elle unità di degenza ci si rende conto facilmente che il passaggio da uno status sociale che ci vedeva considerati alla stregua di ausiliari dell’arte medica, a professionisti autonomi e responsabili ancora non è avvenuto. E purtroppo non è avvenuto nelle menti dei nostri colleghi, che ancora non si sentono tali. E questo loro sentire passa velocemente, serpeggia nei corridoi delle corsie, nelle menti dei giovani colleghi, rendendo ancor più spaventoso il futuro. La massiccia presenza di personale medico nei nostri corsi di formazione, unita a questo malcelato malessere di colleghi che in primis non rivendicano il loro essere Infermieri, crea un vissuto emotivo nei giovani che si affacciano alla professione a dir poco devastante. Continue reading
Autori: Carla Lara d’Errico, Girolama De Gennaro, Stefano Marconcini, Gregorio Paccone
La vision e la mission del progetto
L’assetto da cui si parte fonda su tre certezze ormai ampiamente riconosciute e normate nella sanità italiana:
A partire da queste certezze deriva, come naturale conseguenza, la consapevolezza che la Diagnosi Infermieristica costituisce la base sulla quale scegliere gli interventi infermieristici volti a raggiungere dei risultati di cui l’Infermiere è responsabile.
Pertanto emerge un urgente bisogno di implementare l’uso delle diagnosi infermieristiche nei setting assistenziali distrettuali in cui opera l’Infermiere.
Nell’articolo gli autori motivano la scelta del linguaggio infermieristico standardizzato ICNP® e la decisione di utilizzare la cartella informatizzata distrettuale