A Cura di Antonella Di Noia
“Mi hai proprio letto nel pensiero!” Chissà quante volte sarà capitato di pronunciare o sentire questa frase.
Ci sono occasioni in cui non occorre proferire neppure una parola per esprimere i propri bisogni o le proprie aspettative ed essere compresi alla perfezione. Altre volte, invece, nonostante lunghi discorsi non si riesce a trovare la minima intesa, un punto di contatto, una qualche sintonia. Segno che esistono delle barriere, delle chiusure, degli ostacoli che creano interferenze e impediscono la costruzione di una relazione sociale. Probabilmente diamo troppo per scontato che le parole da sole siano sufficienti a comunicare bene quello che sentiamo, dimenticando che il linguaggio verbale rappresenta solo una piccola parte dell’intero processo comunicativo. Il linguaggio verbale è sicuramente una delle vie che pratichiamo con più facilità, ma dobbiamo comunque tener presente che questa modalità per essere efficace deve necessariamente essere accompagnata, o per meglio dire, rafforzata da altre componenti che intervengono a creare un insieme coerente e armonizzato. L’uomo, in quanto “animale sociale”, ha una smisurata necessità di comunicare, ovvero di mettere in comune, come appunto suggerisce l’antica accezione del verbo comunicare (dal latino communicare, cum-insieme e munis-funzione). Secondo questa definizione comunicare assume un significato molto più ampio rispetto a quello che normalmente siamo abituati ad utilizzare. Comunicare non vuol dire semplicemente parlare, ma anche mettersi in ascolto, sintonizzarsi con l’altro, viaggiare sulla sua stessa lunghezza d’onda. La comunicazione è attenzione, osservazione, percezione. È un atto che presuppone reciprocità e contemporaneità. È un processo bidirezionale, articolato e ricco di sfumature che coinvolge tutti gli organi di senso. Si comunica con lo sguardo, il sorriso, attraverso la mimica facciale, i movimenti del corpo, a gesti, toccandosi e perfino annusandosi. E dunque bisogna predisporsi a cogliere il significato di ciò che viene espresso attraverso una lettura globale e puntuale di tutti gli elementi, con una mente aperta, libera da preconcetti e supposizioni personali. Il linguaggio verbale incide nel processo comunicativo in una percentuale di appena il sette per cento, rispetto agli altri canali la fanno da padrone. Ovvero, il paraverbale che si riferisce a tutto ciò che ruota intorno alle parole e al modo in cui vengono pronunciate, con quale tono di voce, con che volume, con quale ritmo; e ancor di più il non verbale. La comunicazione non verbale è una componente fondamentale anche in considerazione del fatto che il corpo “parla” un linguaggio diretto, innato, scevro da sovrastrutture mentali, solo in piccola parte conscio ma in larga misura non consapevole, perciò difficilmente alterabile. Il corpo racconta la verità. Eppure, un po’ per convenzione o per abitudine, ma forse solo per pigrizia, scegliamo di focalizzare la nostra attenzione su ciò che viene detto a parole piuttosto che allenarci a valutare anche tutte le altre componenti. Solo quando sia difficile esprimersi a parole, il linguaggio non verbale riacquista un ruolo di primo piano. Può accadere ad esempio che il rumore ambientale crei delle interferenze e non permetta il dialogo, oppure ci siano difficoltà linguistiche perché i nostri interlocutori non parlano la nostra stessa lingua e così in modo del tutto spontaneo iniziamo a gesticolare per farci comprendere e per cercare di superare il problema. Le difficoltà comunicative quindi ci spingono a sperimentare nuovi approcci ma anche a potenziare modalità già acquisite e semplicemente tralasciate perché ritenute non indispensabili. La comunicazione aumentativa e alternativa (CAA) è appunto una strategia da utilizzare quando ci siano deficit di comunicazione a causa di disturbi del linguaggio o della percezione dei suoni.
I disturbi del linguaggio e la comunicazione aumentativa e alternativa.
I disturbi del linguaggio si riferiscono principalmente ad abilità ricettive ed espressive, ma possono anche riguardare difficoltà nella fonazione e nella fluenza. Con la CAA non si fa altro che accrescere la comunicazione naturale dell’individuo con deficit comunicativi, utilizzando tutte le sue competenze e i suoi punti di forza, attraverso un codice condiviso, di tipo visivo, quindi fatto di immagini, fotografie, parole scritte e oggetti piuttosto che di tipo uditivo, seppure i suoni siano più effimeri rispetto alle immagini, ma anche attraverso i segni manuali. Diversamente da altri tipi di approcci centrati maggiormente sull’insegnamento di nuove abilità, la CAA cerca di incrementare la comunicazione funzionale spontanea che è alla base della relazione sociale. È un tipo di comunicazione che può essere usato nell’ambiente di vita quotidiano per permettere alle persone con deficit comunicativi di esprimere i propri bisogni, evitando così l’isolamento e la chiusura in sé stesse. Un esempio di CAA di tipo gestuale potrebbe essere rappresentato dalla lingua dei segni (LIS). Anche se in realtà la LIS non è un codice, ma una vera e propria lingua. È un linguaggio di azione dove i segni seguono una struttura ben precisa e si basano su alcuni parametri fondamentali come il luogo, la configurazione, l’orientamento e il movimento, ai quali si aggiunge poi una quinta componente che è l’espressione del volto. La LIS (Lingua Italiana dei Segni) è una lingua nazionale ideata in base a caratteristiche culturali che sono proprie del nostro paese. Anche in questo caso, quindi, se volessimo comunicare con persone di altre nazionalità in lingua dei segni, dovremmo imparare una nuova lingua!