DEPRESSIONE. MALATTIA PSICHIATRICA O PROCESSO INFIAMMATORIO LEGATO ALLO STRESS?

depressionetratto da quotidianosanità

Individui che presentano maggiore vulnerabilità allo stress, presentano alti livelli della proteina Interleuchina-6 , la quale può portare a sviluppare sintomi riconducibili a disturbo depressivo e disturbo d’ansia. La combinazione di farmaci e approccio psicoterapeutico puà aumentare la probabilità di un esito positivo e ridurre le possibilità di ricaduta.

Essere sottoposti allo “stress” può aumentare il rischio di sviluppare la Depressione. Questo appare da uno studio condotto presso la Scuola Icahn di Medicina Mount Sinai, e ribadito di recente ad un Convegno dalla Psiconeuroimmunologa, psicoterapeuta Sabrina Ulivi. “I deficit del sistema immunitario di ciascun individuo possono essere considerati fattori di rischio che danno spazio ai sintomi legati all’ambito della depressione e dell’ansia”.
Studi scientifici condotti da esperti, che hanno accompagnato nel percorso la D.ssa Ulivi, hanno riscontrato una importante associazione tra la presenza di elevati livelli di molecole infiammatorie nel sangue e un maggior numero di globuli bianchi con la presenza di depressione ed ansia negli individui.

I ricercatori scientifici, per poter mettere a punto il modello MCC (Mente Corpo Cervello) studiato per lo studio e l’applicazione di un nuovo protocollo diretto alla prevenzione, cura e risoluzione dello Stress, hanno effettuato la misurazione sia sui livelli di leucociti nel sangue che sui livelli di citochina IL-6, in topi non aggressivi, e in quelli che sono stati sottoposti a provocazioni da parte di un topo aggressivo. Ciò che si è evidenziato riguarda i valori misurati che sono risultati essere elevati in topi più vulnerabili allo stress già prima di essere esposti a situazioni stressanti.
I ricercatori hanno poi convalidato come anche l’aumento dei livelli di IL-6 in due gruppi distinti di pazienti umani con diagnosi resistente al trattamento Disturbo Depressivo Maggiore possa confermare che il sistema immunitario può diventare ipersensibile ad un agente stressante e portare alla disregolazione cronica di processi infiammatori che alla fine causano la malattia.

I topi particolarmente vulnerabili allo stress, manifestano comportamenti molto simili al Disturbo Depressivo (come ad esempio l’evitamento sociale), a differenza di altri topi che mostrano invece una risposta resiliente. Abbiamo, quindi, in evidenza che individui che presentano maggiore vulnerabilità allo stress, presentano alti livelli della proteina Interleuchina-6 , la quale può portare a sviluppare sintomi riconducibili a disturbo depressivo e disturbo d’ansia.
I disturbi da stress e di molti processi infiammatori sono associati ad aumento della prevalenza di molte altre malattie croniche, come ad esempio le malattie cardiache e l’ictus, che sono altamente in correlazione a disturbi emotivi, quindi si vanno ad inserire nel “campo delle emozioni”.
Attraverso questi risultati si può arrivare a comprendere migliori indicazioni per come trattare le diverse malattie.
La depressione oggi rappresenta senza ombra di dubbio il disturbo psicologico più diffuso nel mondo ed in aumento. Secondo dati recenti dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) si stima addirittura che nel 2030 sarà la prima fonte di spesa per la Sanità Pubblica.

In Italia, da recenti indagini, emerge che a soffrire di un disturbo depressivo siamo circa 15 milioni di persone, ovvero il 25% della popolazione: le più colpite sono le donne e i soggetti tra i 14 ed i 44 anni d’età, ma anche tra adolescenti e giovani adulti i casi di depressione sembrano essere in aumento. Gli Istituti scolastici ne lamentano la presenza del fenomeno nonché di disagio legato ad esso. L’enorme diffusione ed aumento è tanto più preoccupante se si considera quanto esso possa compromettere severamente la qualità di vita dell’individuo peggiorando il suo stato di salute, peggiorando le prestazioni lavorative, riuscendo persino a sgretolare anche le relazioni con il proprio coniuge e i figli. Quindi si può tranquillamente affermare che tutto ciò si inserisce di fatto nell’ambito del sociale e della socialità.

Considerando la così vasta diffusione, il tipo di patologia molto invalidante del disturbo e la enorme difficoltà di soggetti affetti da tale disturbo a non rivolgersi allo specialista per vari motivi tra i quali la vergogna e l’ignoranza, e non ultimo la attuazione economica, si comprende come sia indispensabile riconoscere da subito i sintomi legati alla depressione, così da poter intervenire precocemente e l’importanza di creare Servizi a costo sociale, diretti da professionisti opportunamente formati. Far conoscere che un disturbo legato alla depressione si manifesta con varie caratteristiche, tra cui un umore particolarmente depresso per la maggior parte del giorno e quasi ogni giorno per un periodo di almeno due settimane, la perdita di interessi per quasi o tutte le abituali attività, una perdita o aumento di peso (senza essere a dieta), l’insonnia o tendenza eccessiva al sonno, la mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione o colpa e, non ultimi, avere pensieri spesso ricorrenti riguardo alla morte, permette di riconoscere segnali di allarme che certamente indicano come sia importante rivolgersi ad un esperto. Quale può essere il professionista più adeguato per aiutarci ad “uscire dalla depressione”?
Secondo le linee guida del Ministero della Salute, nelle forme depressive moderate e gravi, è indicato l’utilizzo di farmaci, opportunamente prescritti,ovviamente, da un medico psichiatra.

Sicuramente nella fase acuta il farmaco si rende utile ma il suo utilizzo nel tempo presenta dei limiti. Alcune ricerche internazionali condotte in diverse università americane hanno sottolineato come un percorso di psicoterapia possa produrre, nelle strutture neuronali, gli stessi risultati che si ottengono nel caso dell’assunzione di farmaci psicotropi. Nel caso del percorso psicoterapeutico le modificazioni a livello del SNC producono risultati di gran lunga più duraturi rispetto a quelli ottenuti con la sola introduzione del farmaco.

L’assunzione di sostanze produce spesso effetti collaterali. Da non sottovalutare è il fatto che i pazienti spesso non assumono volentieri sostanze (e quindi li eliminano non appena si sentono meglio), magari per paura di ingrassare o di rimanerne schiavo e dipendente. Una volta interrotti avvera sicuramente ricaduta con conseguenze di ancor peggiore stato psicologico. Bisogna anche ricordare che solo circa il 50% dei pazienti risponde positivamente al trattamento farmacologico.
Ala luce di queste considerazioni, dunque, è sempre più importante considerare modalità terapeutiche che possano integrare o, talvolta, sostituire l’utilizzo dei farmaci nella cura del disturbo. Tra queste, bisogna senz’altro ricordare come l’approccio integrato, (attraverso la consilienza dei saperi) proposto dalla Psiconeuroimmunologia possa rappresentare la soluzione di appoggio e supporto alle metodologie già in atto.

In particolare, la combinazione di farmaci e approccio psicoterapeutico può aumentare la probabilità di un esito positivo e ridurre le possibilità di ricaduta. I due trattamenti, infatti, si sono dimostrati in grado di agire su aspetti diversi del disturbo depressivo e di concorrere entrambi, ognuno grazie alle proprie peculiarità, alla risoluzione del malessere.
Una nuova frontiera? Diciamo che la scienza fa passi da gigante e inizia a considerare la persona come intero, a tutto tondo, e ha compreso che nulla è slegato ma vincolato da processo continuo e constate con tutti quanti i nostri organi e sensi. Solo così si potrà iniziare ad avere risultati irreversibili ed una società sana. Perché non sia più Patologia ma Benessere.

Antonella Gramigna
Esperta in orientamento e promozione della salute

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